“Tutto ciò a cui dedichiamo attenzione tende a crescere e a rafforzarsi. Tutto ciò a cui non dedichiamo attenzione tende a scomparire” (Piero Ferrucci).
“Il Bello è l’aspetto visibile del Buono” (Platone).
Nel 2010 in Essere donna nella società di oggi scrissi che, se fossi stata una giornalista, mi sarebbe piaciuto fondare un giornale delle buone notizie. Non per negare la realtà, le tragedie, la cattiveria, la stupidità umana, la superficialità e la distruttività che vengono quotidianamente raccontate dalla stampa, ma per gettare un fascio di luce su un aspetto della realtà che i media sembrano avere dimenticato. Ci ha pensato il Corriere della Sera, che da qualche mese pubblica un settimanale dedicato al Terzo Settore. Si chiama proprio così, Buone notizie, e racconta i fatti di quel pezzo di mondo che è il “bicchiere mezzo pieno” del pianeta Terra. Che bello!
Il giornale delle buone notizie della mia fantasia sarebbe stato soprattutto il giornale della bellezza. Non solo la bellezza dell’arte, della natura, dei colori, delle forme, della musica ma anche la bellezza dei sentimenti e quella morale, una bellezza che, se la riusciamo a intravedere, ci può ispirare, guidare, può trasformare la nostra vita. Ma come intravederla, la bellezza, se nessuno ce la indica mai?
La nostra società odierna, così frenetica e superficiale, così consumistica e votata agli sprechi, così attenta all’immagine esteriore, si è dimenticata della bellezza nel suo senso più ampio, o peggio, non ne riconosce la necessità. E così come il valore del “bello” non viene riconosciuto, si sottovaluta l’influenza negativa di tutto ciò che è “brutto”.
Il giornale della bellezza dovrebbe sottolineare i gesti di semplice gentilezza e di rara educazione, parlerebbe di professioni svolte nel pieno rispetto della deontologia, di riunioni nelle quali nessuno urla e tutti lasciano parlare gli altri. Ma racconterebbe anche di tanto dolore, perché persino il dolore può essere portatore di bellezza. Si può essere generosi del proprio dolore, condividerlo con apertura, elaborarlo, trasformarlo.
Se gli individui sono infiniti anelli di una stessa catena, l’evoluzione di ognuno può illuminare il percorso degli altri. Per questo motivo Fondazione Rebecca è un’iniziativa così bella. Perché nasce da un dolore, uno dei sentimenti più difficili da condividere ma anche uno dei doni più preziosi.
L’esperienza del bello, scrive il filosofo Piero Ferrucci nel suo libro La Bellezza e l’Anima, viene trasmessa in maniera sottile, talvolta misteriosa e quando questo succede, come avviene con la sofferenza condivisa, il rapporto si rafforza, la relazione si arricchisce, diventa più profonda.
Per questo, se fossi una giornalista, scrivere sul giornale delle buone notizie e della bellezza sarebbe il mio modo di sentirmi generativa e di favorire la fecondità delle relazioni. Caratteristica del femminile, del resto, è anche accogliere, mantenere e far crescere dentro di sé ciò che si ama, seguirne la crescita e la trasformazione dedicandovi tempo e nutrimento.
Io però faccio la psicoterapeuta, non la giornalista, e a dire il vero non saprei da che parte incominciare per confezionare un giornale. Ma allora che posso fare? Cosa può fare una psicoterapeuta per gettare un fascio di luce sulla bellezza? La risposta è semplice: vederla, vederla nei pazienti. Con loro lavoro ogni giorno, profondamente, e in ognuno di loro, sempre, c’è un aspetto, un angolo, una caratteristica che può risplendere di bellezza.
A volte la bellezza interiore va aiutata a manifestarsi. Vedere, mettere a fuoco questi aspetti è di per sé un atto terapeutico in grado di accrescere l’autostima e l’equilibrio, l’amore per sé e per la vita, la capacità di esprimersi e di relazionarsi meglio. Spesso questo semplice atto terapeutico è sufficiente per generare o potenziare un processo di autoguarigione, che è presente non solo biologicamente ma anche psichicamente in ognuno di noi.
Vedere il lato buono non significa essere seduttivi con i pazienti, né tantomeno negare eventuali sentimenti di odio o rabbia, invidia e distruttività, sentimenti ai quali è anzi essenziale dare uno spazio espressivo nella relazione terapeutica. Solo così, infatti, una volta portati alla coscienza ed espressi, questi sentimenti potranno essere integrati ed eventualmente risolti.
Un buon terapeuta deve avere la capacità di stare a contatto con sentimenti distruttivi, senza perdere la capacità di vedere la bellezza del proprio paziente. Qualche rara volta, ad essere sinceri, questa bellezza è, almeno inizialmente, solo potenziale. Ma se l’attenzione dello psicoterapeuta è limpida e ferma la bellezza germoglierà, come quando si annaffia una pianta.
A volte la bellezza di un essere umano è sommersa sotto strati di dure barriere difensive e, ancora più in profondità, sotto la traccia e le radici di antichi dolori. Ma se su quel flebile aspetto puntiamo il nostro sguardo come un raggio laser, in qualche modo qualcosa si scioglie e si delinea una strada che porta a ritrovare se stessi, alleggeriti da tutto quanto di distruttivo e autodistruttivo ci aveva tenuti lontani dalla bellezza dell’essere.
Se ognuno di noi si prendesse l’impegno anche solo di tentare di vedere, coltivare e trasmettere la bellezza, forse, come simbolicamente avviene nella fiaba della Bella e la Bestia, il Bello e il Bene guadagnerebbero un po’ di spazio sul Brutto e sul Male.
Dott.ssa Laura Borgialli – Psicologa specialista in psicoterapia, presidente comitato scientifico Fondazione Rebecca