L’adolescenza è un’età di passaggio, di trasformazione e ridefinizione dell’identità, occasione preziosa di rimaneggiare vissuti e rappresentazioni di sé e dell’altro e di ridirezionare il proprio cammino evolutivo consentendo il riequilibrio armonico della personalità. E’ il momento in cui si decide di essere adulti e che tipo di adulti si vuole essere. Decisioni spesso inconsapevoli dettate dalla riproposizione automatica di modelli altri, possono diventare invece consapevoli, integranti rispetto alle esigenze molteplici del proprio essere, che è in potenza una configurazione unica ed irripetibile.
Come professionista della salute, sia in campo della psicologia sociale e di comunità che nel campo della psicoterapia ad approccio psicodinamico che attinge soprattutto alla psicoanalisi relazionale, mi sono allenata negli anni a cercare più che la chiave di lettura nel disturbo e nella psicopatologia dell’individuo, il disagio nelle relazioni che egli intesse e a leggere e a puntare sulle risorse e sul potenziale dell’individuo e del contesto, anche se questo significava agire nei contesti di gruppo e comunità dove le sofferenze si originano.
Quanto detto vale soprattutto con gli adolescenti, laddove essendo in ridefinizione l’identità, le diagnosi di personalità, e quindi anche di possibili disordini, sono nella maggior parte dei casi non facili da definire stabilmente, proprio perché se si interviene in modo tempestivo e con competenza, molto si può rinegoziare e i cambiamenti si vedono in modo più repentino, rispetto agli adulti in cui le disarmonie sono cristallizzate definendo quadri piuttosto stabili di personalità.
Il lavoro nelle istituzioni scolastiche, il lavoro nella progettazione sociale e nella formazione, il lavoro come ricercatrice sociale hanno inoltre permesso negli anni un’integrazione essenziale al mio sapere di psicoterapeuta, consentendomi di allargare la visione con cui guardare i problemi, le difficoltà, il disagio del singolo adolescente che arriva in consultazione, o di chi per lui esprime una domanda di aiuto. Chi prende in carico la sofferenza psichica di adolescenti, che è sofferenza spesso anche dei sistemi di vita dell’adolescente, non può non avere una visione di cosa sia la salute, e di come essa si origina e si sostiene nel tempo. Chi si occupa di disordini comportamentali, problemi relazionali, diffusione di identità e disturbi dell’umore, non può non contattare dimensioni profonde caratterizzate da delusioni, sentimenti di abulia, anaffettività, alessitimia, vuoto narcisistico, falso sé, e contattando queste dimensioni, non può non sapere cosa sia vivere relazioni sane, cosa siano i sogni, le illusioni, l’affettività, il vuoto pieno dello spazio dell’ascolto profondo, il vero sé.
Parlare di psicopatologia, senza parlare di cosa sia la salute, e senza vivere in salute, secondo quella che è la definizione dell’Oms, ovvero “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”, è spesso un paradosso, che molti specialisti si trovano a vivere, polarizzandosi su una visione riduzionistica ed unidimensionale, ma che con i giovani pazienti sicuramente non può funzionare, ed è facilmente “messa allo scoperto” per la sensibilità intrinseca alla autenticità dei giovanissimi, e per la sfida continua che essi impongono alle maschere sociali, al ruolo che gli adulti rappresentano.
Per relazionarsi con il mondo adolescenziale, così mutevole e permeabile ai contesti di vita sociali, spesso disfunzionali e disarmonici, non si può non fare i conti in sintesi con le proprie parti adolescenti, trasformative ed esplosive, in continua ricerca, e con il proprio essere un contenitore stabile pur se nella tempesta dei cambiamenti, interni ed esterni. Ma nel contempo, non si può non fare i conti con le energie di una mente adolescente represse da un sistema sociale, sempre più basato sulla provvisorietà e fluidità dei confini, omologante e poco stabile nella sua funzione di contenitore e guida. E’ di conseguenza fondamentale che lo psicoterapeuta dell’adolescente possa in sé avere la capacità di gestire la complessità, attraverso l’integrazione di un approccio multidimensionale, che potremmo definire bio-psico-sociale, e di più strumenti e tecniche terapeutiche, offrendo una continua disponibilità da un lato all’assimilazione e dall’altro all’accomodamento dei propri schemi teorici di riferimento, con l’obiettivo prioritario di stabilire una relazione di fiducia, senza la quale nessuna cura può realizzarsi, con l’adolescente e il suo sistema di vita. Affrontare una psicoterapia con questo approccio, significa entrare quindi alla scoperta e alla realizzazione del proprio mondo interno, emancipandosi da una cultura conformistica, e sviluppando con più libertà e consapevolezza il proprio percorso esistenziale.
La sofferenza psichica dell’adolescente
Senise (2004) afferma che “L’adolescente ha tutt’altro che esaurito i nostri tentativi di volerlo comprendere, in quanto per la sua condizione esistenziale è un individuo in continuo mutamento e divenire, che spesso diffida dagli adulti e non vuole essere compreso”. A questa affermazione, aggiungerei che egli vuole e non vuole essere compreso, esprimendo ambivalenza e soprattutto una estrema sensibilità ad una comprensione autenticamente empatica.
Le forme della sofferenza dell’adolescente possono essere tante, dai disordini dell’alimentazione, all’uso di sostanze, dalle condotte autolesive e parasuicidarie, ai disturbi dell’umore, ansia, attacchi di panico e così via.
L’impostazione psicodinamica tende innanzitutto a guardare, oltre che una diagnosi più descrittiva di tipo nosografico, una diagnosi di tipo più strutturale, che possa cioè osservare al di là di sintomi e condotte, le dinamiche relazionali, intendendo le relazioni sia con gli oggetti interni che con gli oggetti esterni. Sono oggetto di valutazione ad esempio la forza dell’Io, i meccanismi di difesa, il grado di strutturazione, la forza e l’invasività dei nodi conflittuali infantili individuabili, l’esplorazione del vissuto del sé, le capacità introspettive, ed il potere di incidenza di realtà esterne. Da un insieme di valutazioni di questo tipo, si procede verso una previsione di una possibile progressione verso irrigidimenti nevrotici, borderline, narcististici o psicotici. Le variazioni del sentimento del sé possono comportare ampie oscillazioni del tono energetico pulsionale (dall’indifferenza, inerzia alla mobilitazione intensa di attenzione ed interesse, dall’apatia e sonnolenza alla effervescenza emotiva e intellettuale, dalla passività all’eccesso di movimento, alla concentrazione creativa, dalla remissività alla ribellione, dall’amore all’odio etc.), il riemergere delle pulsioni e dei conflitti del passato, l’uso di difese primitive. Quando il vissuto del sé non corrisponde alle capacità effettive dell’Io, ne derivano ad esempio disordini nella sfera dell’identità, valutazioni non equilibrate delle proprie capacità (sovrastima o sottostima), difficoltà a proiettarsi nel futuro con prospettive corrispondenti alle proprie potenzialità, che integrino il sogno con la necessità di una progettazione gradualmente più definita ed operativa.
Ma nell’adolescenza, le capacità evolutive sono attive e su molto ancora è possibile intervenire per evitare sofferenze future, sintomatologie e disordini che comportino sofferenza per sé e per gli altri. Il sintomo stesso si profila come una porta di accesso importante al proprio sé, costituendo spesso una crepa in una costruzione di falsi sé. La sofferenza se ascoltata e significata, non tanto con la mente razionale, ma con la mente relazionale ed emozionale che si crea nello spazio transizionale della psicoterapia, diventa l’origine di una riformulazione di sé, di una decostruzione delle maschere indossate, ed una affermazione di dimensioni di sé più autentiche, in cui emergono davvero bisogni piuttosto che surrogati dei bisogni fondamentali.
Così come il sintomo è una porta di accesso importante, anche il comportamento a rischio può essere ad esempio una richiesta importante di aiuto, che nel contesto deve essere valorizzata e vista, validando le emozioni e i significati che esso veicola. In questo processo di comprensione complessa, lo psicoterapeuta fornisce un sostegno anche ai genitori, o ad altri caregivers, nella loro funzione di accudimento, nella gestione di dinamiche coinvolgenti ed emotivamente destabilizzanti.
Psicoterapia di individuazione
Il primo metodo essenziale nelle professioni di aiuto, in particolare nel lavoro di psicoterapeuta è la persona stessa, e la sua capacità di stabilire relazioni significative. La persona poi è portatrice di modelli teorici, conoscenze e tecniche che trovano la loro legittimazione nella ricerca e nell’esperienza clinica di diversi specialisti del settore.
La psicoterapia breve di individuazione nasce in ambito psicodinamico da Senise (Aliprandi, Pelanda e Senise, 2004), il quale nella sua lunga pratica clinica prima nelle istituzioni poi nel privato, mette a punto un modello sia psicodiagnostico che psicoterapico, basato su una presa in carico dell’adolescente, in quello che si profila come un accompagnamento nel processo di sperimentazione di una nuova fase di separazione ed individuazione, per riprendere la terminologia della Mahler a proposito della fase che sperimenta il bambino a partire dai tentativi di allontanamento, riavvicinamento e differenziazione del proprio sé.
I processi di individuazione nella fase adolescenziale sono quei processi che consentono la costituzione della propria identità, come immagine della persona nella sua totalità di essere, differenziando le varie parti di sé dal sistema circostante, che comprende lo stesso terapeuta, ma riconoscendone, aggiungerei, nel contempo una connessione. Per identificarsi, occorre prima riconoscersi come bisognosi di relazioni di attaccamento che durano tutto l’arco della vita, per poi elaborare quella necessaria funzione riflessiva del sé che serve per riconoscersi e capirsi.
Ma cosa è il sé? Come possiamo definirlo? Il sé è il principio organizzativo ed integrativo che consente unitarietà nella molteplicità, e fa in modo che ci percepiamo come un tutto uno, a dispetto di cambiamenti che viviamo. Le domande spesso implicite degli adolescenti, difatti, sono domande che attengono al sé: Chi sono? Cosa mi accade? Perché prima sento una emozione e dopo poco l’opposto?
Il setting di consultazione è basato su almeno sette momenti, che constano di colloqui con genitori in co-presenza con il figlio/a oppure separatamente, colloqui con l’adolescente ed eventuale somministrazione di test proiettivi, restituzione degli esiti all’adolescente e ai genitori in co-presenza o separatamente. Dopo la valutazione e la consultazione, che rientra già in una cornice terapeutica, viene stabilito un nuovo contratto su un progetto terapeutico, focalizzato su obiettivi specifici, con un tempo definito per monitorare l’andamento e valutare gli esiti. A seconda dei casi, per esempio si può considerare anche un trattamento psicoterapeutico di individuazione a lungo termine.
Rispetto al modello psicoanalitico più classico applicato ai pazienti adulti, questo modello prevede una modalità più spontanea, diretta ed esperienziale, integrando diverse tecniche, per portare ad un’identificazione con il terapeuta più selettiva, ma nel contempo empatica. Il terapeuta ha la funzione di accompagnare in modo diretto e con immediatezza la velocità dei processi di elaborazione degli adolescenti, e si pone come un facilitatore di tali processi ed un mediatore tra l’adolescente e i suoi sistemi di vita, su cui egli proietta continui movimenti di transfert e che direttamente non è spesso in grado di gestire.
Nel processo di individuazione, uno spazio importante è rivestito dalla simbolizzazione e dall’area transizionale del gioco e della creatività, in senso winnicottiano. L’adolescente ha l’occasione di stare in mezzo, in quella terra di confine che diventa terra di possibilità, innanzitutto esistenziali, tra l’essere bambino e l’essere adulto. Attingendo energie creative dal proprio essere bambino, può progettare il proprio essere adulto, e farlo in una maniera personale e inedita.
Dott.ssa Francesca Scafuto – Psicoterapeuta, dottore di ricerca in psicologia della salute, insegnante, vicepresidente Fondazione Rebecca